Petroldollari, 2.8
2.8. La guerra in Afghanistan.
Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, si erano aperti enormi spazi di intervento per le altre potenze in aree economiche e strategiche che prima non erano neanche ipotizzabili. In particolare nell'area transcaucasica si era aperto un vuoto di potere che in molti hanno cercato di colmare.
L'Afghanistan, pur essendo irrilevante come produttore di petrolio e gas naturale, riveste una notevole importanza strategica nella lotta per il controllo del mercato petrolifero, soprattutto dal 1991, quando nei fondali del Mar Caspio e nel Caucaso sono emerse riserve di petrolio e gas naturale seconde solo a quelle dell'Arabia Saudita. Così iniziò una lotta tra le principali compagnie petrolifere per aggiudicarsene il controllo. Inizialmente la Chevron, sostenuta dal governo americano, riuscì ad aggiudicarsi il grande giacimento di Tenghiz in Kazakistan poi la Bridas di proprietà dell'italo-argentino Carlos Bulgheroni ottenne i diritti di estrazione del giacimento di Yashalar in Turkmenistan al confine con l'Afghanistan. Nella primavera del 1995 il Turkmenistan e il Pakistan commissionarono a Bulgheroni uno studio sui possibili itinerari afgani per la realizzazione della pipeline. Pochi mesi dopo, un'altra importante compagnia petrolifera, la UNOCAL, che ha sede in California e ha come principale consigliere Henry Kissinger, iniziò, tramite il suo Presidente, John Imle, a corteggiare Niyazov (il Presidente turkmeno) e Banazir Bhutto (l'allora Primo Ministro del Pakistan), proponendo un'altra pipeline che avrebbe all'incirca seguito lo stesso itinerario di quella proposta dalla Bridas ma dell'Unocal.
Il problema principale per la realizzazione del progetto era rappresentato dalla guerra in corso in Afghanistan tra i talebani, appoggiati da Pakistan e Stati Uniti, e i mujahedin dell'Alleanza del nord composta a sua volta da diversi gruppi.Quando entrò in gioco la Unocal, il conflitto subì una forte accelerazione grazie ai più consistenti aiuti forniti ai talebani da Usa e Pakistan, così che riuscirono a conquistare, oltre alla capitale, circa l'80 % del territorio. Dopo la conquista di Kabul, quando il regime talebano cominciava a dare una parvenza di stabilizzazione, hanno lottato per la costruzione i questa pipeline due principali gruppi: CENTGAS formata da:
Unocal Corporation (USA), 46.5% Delta Oil Company Limited (Arabia Saudita), 15% Governo del Turkmenistan, 7%Indonesia Petroleum, LTD. (INPEX) (Giappone), 6.5%ITOCHU Oil Exploration Co., Ltd. (CIECO) (Giappone), 6.5% Hyundai Engineering & Construction Co., Ltd. (Korea del Sud), 5% The Crescent Group (Pakistan), 3.5%una partnership al 50% fra l'argentina BRIDAS di Bulgheroni e NINGHARCO che a sua volta è vicina al principe Turki al-Faisal, uno dei più potenti personaggi del regime saudita nonché capo dei servizi segreti.
La gara fu vinta nel 1998 dalla CENTGAS.Ogni parte ha avuto il sostegno di potenti alleati politici. La proposta della Unocal era favorita dal Turkmenistan e dal Pakistan, visti i loro rapporti con gli Stati Uniti, mentre quella della Bridas era appoggiata dai Talebani e da Bin Laden. La competizione tra le due parti si rifletteva anche all'interno della famiglia reale saudita: la Delta Oil, di proprietà saudita, che era parte della Unocal, faceva capo nominalmente al re Fahd e rappresentava lo schieramento più conservatore, che non voleva contrariare l'alleato americano. L'altro gruppo più "rivoluzionario" voleva invece una politica del petrolio più aggressiva, anche a costo di andare contro gli USA. Inoltre c'è la questione dei rapporti con l'Arabia Saudita. L'Arabia Saudita è governata da un autocrazia monarchico-religiosa e oltre ad avere sul suo sottosuolo un quarto delle risorse petrolifere mondiali, è anche una penisola strategicamente importante per le rotte energetiche.
Prima dell'11 settembre i rapporti tra Usa e il suo alleato nell'area, l'Arabia Saudita, cominciarono ad entrare in crisi e i flussi di petrodollari, che fanno dell'Arabia Saudita un prezioso alleato degli Usa nella regione medio-orientale non impedirono né impediscono alla monarchia saudita di sostenere finanziariamente tutti i fondamentalismi islamici. In realtà i rapporti tra Stati Uniti e Arabia Saudita si sono incrinati a causa di una crisi nelle relazioni interne al regime saudita. Per certi aspetti assomiglia alla rivoluzione islamica del 1979, che portò al potere il regime degli ayatollah in Iran. Così come in Iran, il governo, rappresentato dalla casa Saud, stava iniziando a perdere l'appoggio del settore industriale, una frattura che sembra polarizzarsi tra le elite della regione di Hijazi sede della Mecca e di Medina, nonché della capitale economica Jeddah, e la regione di Najd base della famiglia reale saudita. La Casa Saud, per circa un secolo, ha mantenuto una complessa rete di alleanze tribali attraverso una intricata distribuzione di benefici economici, però la capacità economica per finanziare questo stato del benessere si è indebolita a causa delle fluttuazioni del prezzo del petrolio e del peso del debito estero. Inoltre, il malcontento sociale prodotto da una economia caratterizzata da alti tassi di disoccupazione. Il regno saudita si era sempre basato sulla tensione tra potere del re e del clero. Il primo si basava sulla protezione fisica esterna e sugli accordi istituzionali e finanziari con gli Stati Uniti, mentre l'altro nell'adozione ed esportazione della versione più conservatrice e antioccidentale dell'Islam, il wahabismo. L'implosione del blocco sovietico e la fine della guerra fredda fu il primo grande evento che minò le basi dell'alleanza arabo-statunitense, perché si indebolì il nazionalismo arabo laico.
La Russia, già dopo la caduta di Kabul, rendendosi conto che correva il rischio di rimanere esclusa dal controllo del petrolio Caspio e da un'area che fino a pochi anni prima era stata parte integrante del suo territorio, si svegliò dal lungo sonno e, insieme agli altri paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) e all'Uzbekistan, decise di appoggiare più decisamente l'Alleanza del Nord di Massud. L'Iran, che con la nascita della pipeline Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan (TAP) o Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India (TAPI) rischiava di restare emarginato, nonostante confinasse con il Mar Caspio e fosse uno dei maggiori produttori petroliferi del mondo, e la Cina, a sua volta preoccupata dal rafforzamento della presenza Usa nell'Asia Centrale, decisero anch'essi di appoggiare l'Alleanza del Nord.
Anche l'Europa era preoccupata dal corso degli eventi, perché il nuovo oleodotto avrebbe consegnato agli Usa il monopolio mondiale del mercato del petrolio con tutto quello che avrebbe significato sul piano del controllo della rendita finanziaria.
L'Iran, d'altra parte, sosteneva (e sostiene tuttora) la costruzione della pipeline Iran-Pakistan-India (IPI), che consentirebbe a Teheran di porsi come uno dei poli centrali nell'esportazione di petrolio e di gas naturale. Il progetto IPI piaceva a tal punto alla Russia che la Gazprom si era proposta di finanziarne la costruzione. Anche la Cina aveva dato il suo assenso, visto che il progetto IPI prevede una bretella che porterebbe il gas naturale sino a Pechino, il che farebbe dell'Iran, non solo un perno asiatico del controllo e della esportazione di risorse energetiche, ma un alleato fondamentale di Russia e Cina. Inoltre, escluderebbe completamente dalla partita l'imperialismo americano e, questione non secondaria, l'Iran, come i suoi partner asiatici, commercerebbe in euro e non in dollari, minando alle fondamenta il parassitismo di Washington.
Nonostante gli aiuti diretti all'Alleanza del Nord fossero minimi, i mujahedin riuscirono a contrastare l'avanzata dei talebani; inoltre, in seguito agli attentati alle ambasciate statunitensi in Tanzania e in Kenia, attribuiti a Bin Laden, e alle successive ritorsioni americane con il bombardamento di alcuni campi di addestramenti di al Qaeda in Afghanistan, la Unocal decise di ritirarsi dalla CENTGAS e abbandonare il progetto TAP.
I rapporti fra gli Usa e i talebani iniziarono a diventare a dir poco ambigui e strani. Mentre gli Stati Uniti ufficialmente criminalizzavano i talebani, la Unocal e altre compagnie li finanziavano e facevano affari con loro.L'attentato alle Torri Gemelle dell'11 settembre fu un vero e proprio choc per la popolazione americana, era la prima volta che gli Stati Uniti subivano un attacco sul proprio territorio e questo l'aveva colpita al cuore, per di più in diretta televisiva. La paternità del gesto fu subito attribuita a Osama Bin Laden che, nonostante ne avesse assunto la responsabilità morale, non aveva mai dichiarato di esserne l'organizzatore. Non ci fu nessun processo e le prove cosiddette "inconfutabili" furono tenute segrete. Alcuni nutrirono anche dei dubbi sulla presunta incapacità dell'Intelligence americana di sventare gli attentati quasi a supporre una sorta di connivenza con gli attentatori. In ogni caso, il dato di fatto è che il tragico episodio aveva fornito su un piatto d'argento l'opportunità di intervenire militarmente in Afghanistan secondo un progetto deciso precedentemente. Infatti i talebani avevano dimostrato di non riuscire a garantire la sicurezza e il controllo di tutto il territorio e per gli Stati Uniti era necessaria la formazione di un governo congiunto con le altre fazioni in Afghanistan, cosa che i talebani avevano rifiutato. Ben presto però il regime si dimostrò incapace di adempiere ai suoi compiti. Il fanatismo religioso, per certi aspetti determinante per consentire ad un esercito di uomini scalzi di battersi fino all'ultimo sangue, risultò disastroso ai fini di un duraturo progetto di modernizzazione e di stabilizzazione interna.
Osama Bin Laden era un pericolo per gli Usa non solo in quanto paladino nella lotta contro l'occidente americano: era alleato economico di alcuni paesi arabi produttori non aderenti all'Opec e nemico giurato della monarchia Saud sia per questioni religiose che per un contenzioso su alcuni pozzi petroliferi. Cercava di costruire un'alleanza tra paesi integralisti, fuori e contro il monopolio americano, al fine di decidere autonomamente quantità e prezzi, e cercava con un'impresa specializzata nella costruzione di pipeline di partecipare alla costruzione di oleodotti dalla zona del Caspio all'Oceano Indiano. Tutti obiettivi che si scontravano con gli interessi americani.
In risposta all'attentato alle Twin Towers, il 7 ottobre del 2001 iniziò l'attacco all'Afghanistan, senza Onu e senza Nato o meglio con un appello formale all'art.5 dello statuto NATO che recita: "Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell'America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell'esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall'art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l'azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l'uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell'Atlantico settentrionale. Ogni attacco armato di questo genere e tutte le misure prese in conseguenza di esso saranno immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza. Queste misure termineranno allorché il Consiglio di Sicurezza avrà preso le misure necessarie per ristabilire e mantenere la pace e la sicurezza internazionali."
"Vogliamo la solidarietà di tutti, ma facciamo da soli" era la parola d'ordine della missione americana. Al massimo potevano essere previsti gli alleati inglesi o qualche contingente di rappresentanza internazionale perché gli Stati Uniti avevano subito l'atto di terrorismo e volevano rispondere militarmente da soli. Washington era riuscita a far passare questa guerra come uno scontro tra civiltà, un conflitto tra democrazia e integralismo islamico, tra occidente e terrorismo. Già dal 1998 era cambiata la strategia e i Talebani da alleati erano diventati nemici. Successivamente, l'11 settembre aveva dato la possibilità di attuare militarmente una strategia che era già stata pianificata, che però non aveva ancora trovato la scintilla per poter passare dal livello politico a quello militare.
Il primo obiettivo era quindi quello di sbarazzarsi dei talebani, che non erano affidabili per i progetti petroliferi della Unocal, perché non erano riusciti a controllare quel 20% del territorio fondamentale per la costruzione della pipeline. Inoltre la violenza del governo e l'impresentabilità della classe politica dominante che decuplicò la produzione di oppio rispetto agli anni precedenti senza ammodernare il paese e effettuare investimenti produttivi, stavano creando un forte malcontento tra la popolazione e questo rendeva il governo dei talebani sempre più instabile.
L'altro obiettivo era quello di consegnare agli Stati Uniti il monopolio nella gestione delle risorse petrolifere più importanti, mantenere il dollaro come moneta per le transazioni petrolifere e le rendite petrolifere dell'area euroasiatica.
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