sabato 13 febbraio 2010

Petroldollari, 2.4

2.4. Considerazioni sulla prima guerra del Golfo.

Questa guerra è stata profondamente diversa da quelle che hanno caratterizzato il periodo della guerra fredda e il confronto/scontro interimperialistico tra USA e URSS. A differenza delle precedenti, aveva come principalmente due obiettivi: stabilizzare l'area, garantendo un determinato prezzo del petrolio che ottimizzasse la rendita finanziaria, e ottenere la garanzia che gli investimenti dei paesi del Consiglio del Golfo restassero in orbita statunitense. Parlare dell'area mediorientale come di una zona con interessi omogenei sarebbe sicuramente superficiale, a maggior ragione dopo venti anni di crisi economica. Vi sono paesi produttori e paesi importatori di petrolio, stati molto popolati e altri con pochissimi abitanti, stati creditori e stati debitori.
Solo una piccola parte dei paesi arabi sono creditori: Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Oman che aderiscono al Consiglio del Golfo. Questi paesi sono poco popolati e poco interessati ad avviare processi industriali nel loro territorio, così che investono all'estero. La loro rendita è in parte derivante dall'esportazione di petrolio e in parte dagli investimenti in petrodollari, grosso modo circa il 50% proviene dall'esportazione di petrolio e la restante parte dagli investimenti.
I paesi del Consiglio del Golfo avevano interesse ad un prezzo del petrolio tra i 18 e i 22 dollari al barile per poter ottimizzare la rendita, a differenza dell'Irak che invece aveva un'economia in profondo deficit, dipendeva in percentuale maggiore dall'esportazione del petrolio e aveva quindi bisogno di un prezzo del petrolio più alto.
Già prima dell'invasione del Kuwait l'economia americana aveva bisogno del verificarsi di due condizioni contraddittorie: un alto tasso di interesse per sostenere il debito pubblico e contemporaneamente un basso tasso di interesse per favorire l'apparato industriale. La questione se finanziare il debito pubblico o sostenere l'apparato industriale era un vero problema. L'unica soluzione era un prezzo del petrolio che consentisse una crescita non eccessiva dei tassi di interesse e che incrementasse i flussi di capitali provenienti dai paesi del Golfo necessari per finanziare il debito pubblico. Con prezzi inferiori ai 20 dollari al barile, il dollaro si sarebbe svalutato con un probabile aumento dei prezzi interni e una ripresa dell'inflazione. Con prezzi superiori ai 20 dollari si sarebbero risolti i problemi di finanziamento del debito pubblico ma si sarebbero creati grossi problemi all'apparato industriale. In sostanza gli interessi di Stati Uniti e paesi del Golfo erano sostanzialmente coincidenti, cioè un prezzo intorno ai 20 dollari al barile, e nettamente in contrasto con quelli irakeni.
A fine guerra gli Stati Uniti imposero la propria volontà su alcune questioni fondamentali. La prima questione era che mentre negli ultimi anni ogni paese Opec poteva praticamente estrarre e vendere petrolio a seconda delle sue esigenze interne, causando così una instabilità dei prezzi, con la presenza militare americana questo non era più possibile, perché c'era qualcuno in grado di far rispettare prezzi e quantità. La seconda questione era quella di garantirsi gli appalti per la ricostruzione del Kuwait, una vera boccata d'ossigeno per il settore produttivo americano, stimati in circa 200 miliardi di dollari per la parte civile, oltre a 300 miliardi di dollari per l'industria petrolifera ai quali andavano sommati in prospettiva quelli della ricostruzione dell'Iraq.

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