martedì 2 febbraio 2010

Petroldollari, 2.3

Operazione "Desert Storm".

Tra il 16 e il 17 gennaio scattò l'operazione "Desert Storm" con bombardamenti su Baghdad e la risposta irakena fu l'incendio del pozzi petroliferi in Kuwait. Una volta iniziata la guerra, l'atteggiamento americano è sempre stato ostile ad ogni tentativo di interrompere il conflitto. Il 15 febbraio Saddam propose di ritirare le truppe dal Kuwait, ma gli Usa risposero negativamente dicendo che era un inganno; il 22 febbraio una proposta sovietica tentava di raggiungere un accordo basato sull'accettazione da parte di Baghdad della risoluzione 660 e del ritiro senza condizione dal Kuwait. Ma gli Usa contestarono che non era sufficiente dichiarare di ritirarsi, se poi non ci si ritirava effettivamente. Il 22 febbraio Saddam dichiarò di arrendersi alle condizioni della proposta sovietica ma la risposta fu ancora negativa. Il 25 gennaio le truppe irakene iniziano effettivamente il ritiro, ma ancora non era sufficiente perché per Washington era necessaria una formale accettazione di tutte e dodici le dichiarazioni Onu. Il 28 febbraio, dopo il più pesante bombardamento su Baghdad di tutta la guerra, con un Irak raso al suolo e distrutto, con l'esercito in rotta e migliaia di prigionieri e disertori, Saddam chiese un armistizio accettando tutte le risoluzioni dell'Onu e rinunciando ad ogni pretesa sull'Iraq, armistizio che fu ufficialmente ratificato il 3 marzo.
Il regime di Saddam non fu però distrutto per una precisa scelta geopolitica americana. Il motivo ufficiale era che mancava un consenso dell'Onu per una vera e propria invasione di uno stato sovrano e che gli stati arabi probabilmente non lo avrebbero appoggiato nel timore che gli Usa potessero estendere il proprio potere sul Medioriente.
In realtà, il motivo principale della prima guerra del Golfo era garantire la stabilità dell'area e la caduta del regime di Saddam avrebbe provocato problemi di successione. In Iraq dal 27 febbraio ci furono rivolte dei ribelli sciiti al sud, ai quali si erano aggiunti molti soldati iracheni in fuga dal Kuwait. Nel giro di due settimane i ribelli presero il controllo del territorio, ma Baghdad, con il consenso degli Stati Uniti, riuscì con un offensiva a ristabilizzare la situazione, costringendo centinaia di migliaia di persone a fuggire in Iran o a nascondersi nelle paludi. Successivamente ci furono alcune sporadiche rivolte nel centro dell'Iraq, mentre a partire dal 7 marzo, nel Kurdistan iracheno al nord, scoppiò una violenta insurrezione contro Saddam Hussein. Anche questa fu repressa da Baghdad, sempre con il consenso americano, e costrinse due milioni di curdi a rifugiarsi in Turchia e in Iran tra la fine di marzo e i primi di aprile. In aprile, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu adottò una risoluzione per creare una zona nel nord dell'Irak, dove i curdi potessero rimpatriare al riparo dalla repressione di Baghdad, e il 19 aprile iniziarono i negoziati tra Saddam e i leader curdi. Successivamente verranno ritirate tutte le truppe dal Kurdistan iracheno tranne dalla zona di Kirkuk che, ricca di petrolio, resterà sotto il controllo di Baghdad.
Inoltre la presenza di Saddam giustificò la dichiarazione di Bush secondo la quale le truppe americane non si sarebbero ritirate dall'Iraq per garantire il rispetto delle tredici risoluzioni dell'Onu. In ogni caso le condizioni della resa furono molto severe. Oltre alle restrizioni sulla vendita di petrolio, venne creata una no-fly zone a nord e a sud del paese controllata da inglesi e americani e una zona di protezione a nord dove i curdi avevano un'ampia autonomia.
Intanto, l'economia americana era in pesante deficit, la disoccupazione era al 6,6% e l'inflazione era salita al 6,2%, il deficit federale era di circa 300 miliardi di dollari, quello commerciale di 120 miliardi e il debito estero era salito a 600 miliardi di dollari.

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